Basta scetticismo sulle alternative al fumo ma pieno riconoscimento del valore che esse possono ricoprire nelle strategie di smoking cessation.
Per arrivare a questo ambizioso risultato, però, è necessario, in primo luogo, fare sana informazione.
Un messaggio ricco di contenuti è quello che giunge da Luigi Godi – Senior Scientific & Medical Advisor di Philip Morris Italia.
Il manager di Pmi ha snocciolato numeri e dati a favore delle alternative al tabacco tradizionale iniziando da un riferimento al Giappone dove, dal momento in cui è stato introdotto sul mercato il tabacco riscaldato, si è assistito ad un calo nelle vendite delle tradizionali del 26 percentuale(dal 2012 al 2018) pur non essendosi avute mutazioni  di tipo legislativo e fiscale.
Per non parlare dello snus, prodotto che tira tanto nei Paesi scandinavi, e che ha portato, in Svezia, i fumatori al 4% con una discesa verticale del 60%.
Uguale discorso per il Regno Unito dove le politiche pro svapo del Public Health England hanno determinato un aumento nei consumi della sigaretta elettronica (+8%) ed un contestuale calo del 10% nei consumi delle bionde.
Godi, poi, ha anche smontato le teorie del gateway, ovvero quelle secondo le quali la e-cig sarebbe una corsia preferenziale verso un futuro da tabagista.
A tal fine il medesimo ha citato un’analisi di Eurobarometer, organo di consultazione pubblica della EU, che ha riferito come in Italia solo l’1% di 28.000 persone intervistate abbia dichiarato che la sigaretta elettronica ed il tabacco riscaldato fossero stati il primo prodotto utilizzato, rispetto ad un 93% degli intervistati che ha rivelato di aver avuto, invece, quale primo approccio la sigaretta classica.
E, proseguendo, nel Regno Unito tre distinte indagini hanno, allo stesso modo, dimostrato come pochissimi consumatori avessero avuto come “esordio” la e-cig.
Lo 0,2%, per la precisione, secondo sondaggio OPN del 2019, e lo 0,3% (secondo ASHA, 2020) e lo 0,6 (STS, 2020).
Proseguendo, nel 2020 la European Tobacco Harm Reduction Advocates aveva condotto lo studio “The EU Nicotine Users Survey” concludendosi come, su 32.000 soggetti, la prevalenza di utilizzo di e-cig fosse stata dell’1,3percentuale.
Un ulteriore lavoro congiunto Philip Morris Italia-Doxa, in ultimo, aveva chiarito come su 3000 utilizzatori Iqos, appena lo 0,6% si fosse iniziato con Iqos con la stragrande, restante parte che, invece, aveva avuto nel fumo il primo approccio.
Come può il legislatore ignorare queste conclusioni?